mercoledì 29 maggio 2013

La filosofia di Sartre


SARTRE (1905-1980)
È il principale esponente dell’esistenzialismo novecentesco. Il suo pensiero si può dividere in due fasi: nella prima fase, il suo esistenzialismo assume forti tratti individualistici. Nella seconda, il confronto con il marxismo apre il suo esistenzialismo uumanistico alle tematiche della trasformazione storico-sociale.

1° FASE
L’opera che meglio definisce l’esistenzialismo della prima fase è “L’essere e il nulla”, che riassume i temi dell’esistenzialismo tedesco. secondo Sartre l’esistenzialismo è ATEO: c’è solo l’uomo, punto di riferimento di ogni realtà. Non esiste né Dio né il mondo come punto di riferimento.  Qui egli si pone il problema delle strutture dell’essere; in senso fenomenologico egli definisce l’essere come in sé e per sé. Il primo rapporto riguarda gli oggetti del mondo, il secondo è la coscienza.

L’essere in sé è immobile, non ha relazione con gli altri esseri, è al di fuori della temporalità. L’essere per sé, cioè la coscienza, coincide con il nulla. L’analisi del per sé, ossia della cosicenza, rivela in effetti che l’uomo non porta solo il nulla in stesso ma consiste propriamente in questo nulla. Il per sé è caratterizzato da tre ek-stasi: il nulla, l’altro e l’essere.

1. Il nulla è la coscienza, la quale si rivela nel fenomeno della libertà. Se l’uomo fosse determinato dal suo passato non potrebbe scegliere; viceversa sceglie, il che significa che annulla il proprio passato apirando a qualcos a che ancora non esiste. L’essenza dell’uomo è la libertà, cioè angoscia. L’uomo tende a sfuggire l’angoscia e quindi la libertà, rifugiandosi in quello che Sartre chiama il comportamento inautentico della mala fede. L’uomo non èuò mai liberarsi dell’angoscia, che (come per Kierkegaard e per heidegger) è rivelatrice del nulla dell’esistenza. L'uomo dunque è radicalmente libero; non solo negli «atti volontari», ma anche nelle emozioni, nei sentimenti, nelle passioni. Anzi la libertà è il contrassegno che caratterizza specificamente l'esistente, lo caratterizza nel suo quid proprium. L’uomo è condannato a essere libero. Questa condanna alla libertà fa si che la scelta sia sempre angosciosa; la continua instabilità dell'uomo, il suo costante impegno a scegliersi, a farsi, la non definitività delle scelte e delle decisioni, la ingiustificabilità delle stesse scelte (la scelta non ha infatti parametri di valutazione, criteri precostituiti) sono per l'uomo fonte di angoscia. La prima ek-stasi del per sé quindi è destinata allo scacco.
2. la seconda ek-stasi del per-sé è l’essere-per-altri. Non è possibile dimostrare l’esistenza dell’Altro, ma è possibile accedere all’altro solo in via emozionale. Ciascuno tende a oggettivare l’Altro, togliendogli la sua libertà. Ogni coscienza quindi desidera la libertà dell’altro, ma un per-sé non potrà mai possedere un altro per sé, e dunque anche la seconda ek-stasi è votata al falimento.
 
3. la terza ek-stasi intende l’essere come valore; tuttavia anche il valore non è, in quanto è una modalità del nulla. Una sola per Sartre è la legge morale fondamentale: essa si esprime nell’imperativo “Scegli te stesso”. Questa legge è in effetti quelal che sempre si impone poiché l’uomo è condannato a essere libero. Cioè che il per sé vuole veramente è divenire un essere in-sé che sia anche causa e fondamento sdi se stesso, ossia un essere in-sé-per-sé. In altri termini, l’uomo aspira a divenire Dio, ma poi che Dio non esiste, un essere in-sé-per-sé è un concetto assurdo e contraddittorio, quindi anche la terza ek-stasi fallisce.

L’essere è l’angosciosa rivelazione del nulla. L’uomo, la persona in quanto esistenza, si evolve nullificando ciò che era prima. L’uomo possiede quindi una libertà fasulla, basata sul nulla. L'uomo è coscienza, trascendimento continuo di sé; la sua esistenza consiste in questo trascendersi continuo; egli non «è» qualcosa, ma «diviene» sempre; nella sua vita non esplicita un'essenza prefissata, ma la costruisce via via. In tal senso, contrariamente a quanto - egli dice - si è sostenuto finora in filosofia, l'esistenza precede l'essenza (Io sono un essere esistente, colgo ciò che esiste, non la sua essenza). Rifiuta il concetto freudiano d'inconscio, sostituito con la nozione di «malafede»: l'inconscio non saprebbe diminuire l'assoluta libertà dell'Uomo. La «malafede», sul piano pratico, consiste nel dire: "quel che conta è l'intenzione". Il soggetto tende a fare degli altri un oggetto e a percepirsi come l'oggetto d'altri (esempio particolare del "gesto sporco" sorpreso mentre fatto di nascosto).
Sintetizzando: siamo come una stanza con una finestra che si affaccia sul mondo esterno... e sta a noi, e SOLO a noi, decidere di aprirla.

Nell'esistenzialismo di Sartre si realizza lo stesso paradosso di Heidegger e Jaspers: la trasformazione del concetto di possibilità in impossibilità. Secondo Sartre l'uomo è definito come "l'essere che progetta di essere Dio" (in "L'essere e il nulla"), ma questa attività si risolve in uno scacco: ciò che per Heidegger e Jaspers è nullificato dalla realtà fattuale, in Sartre è nullificato dalla molteplicità delle scelte e dall'impossibilità di discriminarne la fondatezza e validità. "Ein Mal ist kein Mal" (una volta è nessuna volta), se mi è dato scegliere, il fatto di non poter discernere si traduce in una non scelta.

2° FASE
Dopo la seconda guerra mondiale, l'attenzione di Sartre si rivolge all'azione politica. Egli si avvicina al comunismo dando inizio a un suo ruolo di engagé che farà da modello a molti intellettuali di sinistra tra gli anni '50 e '80. Sartre intraprende in questi anni un confrono con il marxismo, prospettando una possibile integrazione di marxismo e esistenzialismo.

È in questa prospettiva che nasce il progetto della Critica della ragion dialettica (che uscirà nel 1960).Gli assunti fondamentali di L'essere e il nulla sono perciò nella Critica della ragion dialettica definitivamente negati con l'assunzione teorica del materialismo storico marxiano. È infatti il regno del "pratico-inerte" (l'essenza della materia) a imporsi, a dominare, a determinare la necessità e ad imporla anche all'uomo. L’attenzione di sartre è volta sia a ribadire la ineliminabili componente soggettvia della storia, sia a rifiutare il proprio precedente idealismo. Se da una parte, è l’uomo e solo l’uomo a fare la storia, da un altro lato è la storia che condiziona l’uomo, limitandone la libertà. In poleica con la concezione marxista, la storia non è concepita come una totalità il cui significato è già predeterminato indipendentemente dalle concrete scelte e attività degli individui; essa è piuttosto concepita come una totalizzazione in corso, il cui fine è smpre ancora da decidere.

La filosofia di Heidegger


Martin Heidegger

Nato a Messkirch (Germany) nel 1889, morto nel 1976
Aderì al partito nazista, fu discepolo di Husserl da cui si distaccò per la questione
delle essenze (lui in seguito preferì parlare di esistenze).
Le due opere più importanti sono: "ESSERE E TEMPO" che rispecchia la 1° fase
del pensiero di H: lo scopo di questo libro è determinare il senso dell'essere (analitica
esistenziale).
La 2° fase è segnata invece dal libro "CHE COS'E' LA METAFISICA" (dal 1930 in poi):
è una critica a tutto il pensiero metafisico occidentale da Platone in poi, ed è una
riconsiderazione delle sue precedenti idee.

PRIMA FASE: IL SENSO DELL'ESSERE DEVE ANALIZZARSI IN BASE ALL'ENTE
(UOMO) CHE SI PONE IL PROBLEMA DELL'ESSERE.

ESSERCI (Das ein)= l'uomo che si pone il problema dell'essere

L'uomo è "gettato" nelle situazioni che vive, vi partecipa in modo attivo (Husserl
invece riteneva l'u. come spettatore disinteressato) perchè interessato alla sua esistenza
o ad un un suo progetto. Il progetto è dato dal poter-essere che l'esistenza implica. Esistenza=poter-essere=progettare.

ESSERE NEL MONDO (In der Welt sein)= L'uomo è il progetto e si serve delle cose
del mondo (strumenti) per portarlo a termine. Cura= preoccupazione della vita
(riprende senso latino del termine).
L'essere delle cose equivale al loro essere utilizzate dall'uomo.

ESSERE-CON-GLI-ALTRI (Mit-sein)= Se essere nel mondo significa prendersi
cura delle cose, essere con gli altri significa preoccuparsi per gli altri uomini, questo
puo' avvenire in modo autentico (si aiuta l'altro a trovare la sua libertà) o inautentico
(ci si sostituisce all'altro).

ESISTENZA INAUTENTICA= L'uomo che ha cura delle cose finisce per basare la
sua vita sul piano degli enti, dell'oggettività, che lo riduce ad una continua ricerca
del nuovo, si basa sulla chiacchiera, ed è un'esistenza anonima.

ESISTENZA AUTENTICA= La voce della coscienza mostra all'uomo l'alternativa
all'esistenza inautentica (l'essere dell'uomo è possibilità) che è la ricerca del senso
dell'essere degli enti.

ESSERE PER LA MORTE= Tra tutte le possibilità di cui è composta l'esistenza
dell'uomo, ve ne è una alla quale non si puo' sottrarre, cioè la morte. Questa elimina
ogni altra eventuale possibilità e vanifica i progetti dell'uomo. L'esistenza autentica è
essere per la morte perchè vi è la consapevolezza della nullità dei progetti davanti
alla morte; ma questa è anche lo stimolo per cercare il proprio essere autentico
prima che la morte lo annulli.

ANGOSCIA= Anche H. (come Kierkegaard) ammette l'angoscia come stato d'animo
davanti al nulla; l'angoscia è tipica dell'es. autentica, come accettazione della propria
finitezza, mentre nell'es. inautentica si cerca di fuggire l'idea della morte tenendosi
occupati, affaccendandosi con le cose.

RIASSUMENDO: l'uomo nel mondo puo' assumere due posizioni, rimanere legato
al piano degli enti, degli oggetti, oppure elevarsi a quello dell'essere, (piano
ontologico o esistenziale) nel quale può condurre la sua vita solo in relazione all'idea
della morte, che annullerà ogni suo progetto ed è imprevedibile ma inevitabile,
dalla quale trarrà l'accettazione della sua finitezza e l'impegno verso la ricerca del suo
essere autentico.

SECONDA FASE: IL PROBLEMA DELL'ESSERE A PARTIRE DALL'ESSERE STESSO

OBLIO DELL'ESSERE= Da Platone in poi l'uomo ha concepito l'essere in funzione dei suoi enti, non si è più ricercata la sua vera essenza, e la metafisica è stata quindi ridotta a fisica perchè il suo oggetto non era l'essere ma gli enti (oblio=dimenticanza). L'essere (anche la verità e la libertà), come già dicevano i presocratici Parmenide, Eraclito, Anassimandro, è un disvelarsi: alethèia. L'essere si manifesta all'uomo attraverso il linguaggio poetico, in quanto questo ha una certa forma di sacralità, di sintesi e nel contempo analisi, che lo rendono il miglior mezzo per essere recepito dall'uomo. Questi deve quindi mettersi in  silenzio e ascolto perchè l'essere gli si manifesti, in quanto l'uomo ha nessun altro potere di fronte all'essere: è l'essere stesso che si svela (a chi lo sa ascoltare e recepire). La scienza e la tecnica si sono sviluppate da un modo di vita inautentico, basato sugli oggetti e sulla convinzione di poterli dominare e manipolare, dall'errata coincidenza essere=ente.

RIASSUMENDO: Heidegger fallisce lo scopo di trovare l'essenza dell'essere nella 1° fase (infatti vi è l'essere-per-la-morte, alla vanificazione dell'esistenza) perchè imposta la ricerca sull'ente e non sull'essere stesso (come la metafisica classica che critica): il fallimento è motivo di superamento e quindi di passaggio verso la 2° fase. Qui H. riconosce l'autosvelarsi dell'essere attraverso il linguaggio poetico.

 
ALTRE NOTE:

-H. ritiene Nietszche "l'ultimo filosofo" in quanto precursore e ammonitore di un cambiamento filosofico anche se non riesce ad affrontarlo effettivamente.

-Il fatto di ridurre la filosofia in poesia è considerato misticismo

-Il problema dell'essere riguarda sia gli atei che i religiosi

-Anche nel tempo si ha un'esistenza autentica(vivendo attivamente il presente, "carpe diem") e inautentica(rimanere legati al passato).

-Pensiero ontico=pensiero esistentivo=esistenza inautentica

 Pensiero ontologico=pensiero esistenziale=esistenza autentica

-Il collegamento tra Heidegger e il nazismo puo' trovarsi anche nella mitologia della morte e del coraggio di fronte ad essa.

-Fenomenologia= manifestarsi dei fenomeni alla coscienza.

-Scacco= fallimento della vita.

-Heidegger introduce delle innovazioni non solo dal punto di vista filosofico ma anche per quanto riguarda il linguaggio da lui usato (parole a volte inventate per cercare di esprimere pienamente la sua concezione).



 

lunedì 1 aprile 2013

Spiritualismo e Bergson


In senso generale con il termine spiritualismo si indica quella filosofia che assume lo spirito, cioè la coscienza, come presupposto della ricerca. Storicamente lo spiritualismo si è sviluppato in opposizione al materialismo, al positivismo e all’idealismo e si diffonde soprattutto in Francia grazie al pensiero di Blondel e Bergson, pur coinvolgendo anche altre aree culturali europee. Nonostante la varietà delle prospettive filosofiche legate allo spiritualismo, è possibile fissarne alcuni punti fondamentali:
la specificità dell’uomo nei confronti della natura, per il suo carattere spirituale e coscienziale e per la sua attività e libertà;
l’esperienza interiore, nel senso di ascolto della voce della coscienza come metodo proprio della filosofia;
l’irriducibilità della filosofia alla scienza.


Bergson nacque a Parigi nel 1859 e morì nel 1941. Rifacendosi a Sant’Agostino (che aveva detto che il tempo è dentro di noi) Bergson fece una distinzione fra il tempo della scienza ed il tempo della vita. Il primo è fatto di istanti differenti solo quantitativamente, ed è reversibile, poiché un esperimento può essere ripetuto infinite volte. Nel secondo, invece, gli istanti, diversi tra loro anche qualitativamente, si compenetrano e si sommano tra loro e sono irripetibili, non si possono ricreare. In sintesi, il tempo della scienza è solo qualcosa di astratto, di esteriore e di spazializzato (come diceva lo stesso Sant’Agostino: lo spazio è un tutto continuo in cui sono collocati gli oggetti, che nei confronti dello spazio perdono valori qualitativi, mentre il tempo è un tutto continuo nel quale collochiamo gli eventi). Dunque, il tempo reale è una creazione continua (pur essendo il risultato di momenti precedenti, il presente è un momento assolutamente nuovo). La vita spirituale, quindi, è essenzialmente auto-creazione e libertà: coloro che ritengono che ogni azione spirituale sia necessariamente determinata da cause precedenti, si fondano su un concetto del tempo che non si può applicare alla vita spirituale, dato che la coscienza ci dà soltanto un processo di mutamento unico e continuativo.
In "Materia e memoria", Bergson studiò i rapporti tra spirito e corpo (che è quel tipo di materia che nell’uomo si oppone alla coscienza). Egli fece una distinzione tra memoria, ricordo e percezione. La memoria pura è la coscienza stessa, che registra tutto ciò che accade (a volte in modo a noi non consapevole: la memoria, cioè, è il nostro passato). Il ricordo-immagine è la materializzazione operata dal cervello di un evento passato (cosa che non avviene sempre: viene trasformato in ricordo solo ciò che serve all’azione: paradossalmente la memoria è più oblio che ricordo). Quella che noi chiamiamo comunemente memoria (che in realtà è il ricordo-immagine), non è che una minima parte della memoria complessiva. La percezione è un continuo filtro selettivo dei dati, in vista delle esigenze dell’azione.
Rimane, però, un dualismo tra coscienza e corpo, spirito e materia: ciò egli risolse nell’ "Evoluzione creatrice", che si rifà al concetto di durata reale. La vita, imprevedibilmente, crea e si evolve (come una fontana) in modo semplice e continuo, essendo nello stesso tempo conservazione integrale ed automatica dell’intero passato. Questa creazione via via si evolve dallo slancio vitale iniziale, creando tutta la natura in modo libero e imprevedibile, senza un progetto iniziale, senza un fine e senza necessità. La prima biforcazione fondamentale è quella che ha dato origine alla distinzione tra animale e pianta. Dunque l’essere è la vita e quindi il non essere (che nasce da un’interruzione dell’energia vitale) è la materia (studiata dalla scienza, che, secondo Bergson, che la disprezza, studia ciò che non è vitale).
Inizialmente l’uomo non era homo sapiens ma homo faber e, per sopperire alle proprie mancanze, usava l’intelligenza (che è la facoltà di fabbricare strumenti artificiali) e l’istinto (facoltà di utilizzare o costruire strumenti organizzati). L’intelligenza, dunque, si trova a suo agio con la materia inorganica e quindi non può comprendere il movimento, il divenire e la vita. Ma l’intelligenza non si separa mai completamente dall’istinto, per cui è possibile un ritorno consapevole dell’intelligenza all’istinto Tale ritorno è l’intuizione (che penetra, come l’istinto, vede, e si stacca, come l’intelligenza): essa è un istinto cosciente e disinteressato. Che un ritorno cosciente all’istinto è possibile ce lo dimostra l’intuizione estetica, che dà luogo all’arte. Essa però è diretta solo verso una realtà particolare e non verso la vita in generale: per ciò serve la metafisica. Questa teoria dell’intuizione è stata molto discussa: come la natura di Rosseau, non si capisce ancora bene se Bergson auspicasse ad un ritorno al selvaggio o ad una riscoperta di qualcosa nell’interiore (a volte l’intuizione sembra un ritorno ad un periodo prelogico, altre volte un ritorno cosciente all’incoscienza).
Anche nel mondo umano Bergson vide una distinzione tra immobilità e movimento, infatti l’uomo ha un proprio ruolo sociale e da ciò derivano due tipi di società: quelle chiuse, dove l’intelligenza tende a fornire all’uomo gli alibi per sottrarsi al proprio ruolo, per cui la vita usa la morale dell’obbligazione, cioè obbliga l’uomo con la morale; e quelle aperte, dove l’intelligenza non riesce e, per la morale assoluta, ogni uomo spontaneamente adempie al proprio compito (essendo Bergson ateo, la figura rappresentativa di tale società è l’eroe). Alla morale dell’obbligazione e a quella assoluta corrispondono due tipi di religione: c’è quella statica, nella quale la vita usa una speciale fantasia (la funzione fabulatrice), che ha inventato miti e superstizioni per rassicurare l’uomo dalla sua idea fissa della morte, che altrimenti lo porterebbe all’inoperosità; e religione dinamica (che Bergson identifica con il misticismo, cosa rara che presuppone un uomo privilegiato), per la quale ogni persona deve fare appello a tutte le proprie facoltà per inserirsi nello slancio vitale, nella stessa creazione divina, per continuarla per proprio conto (emblema di questa religione dinamica è il santo, simile al superuomo di Nietzsche che doveva inserirsi nell’Eterno Ritorno, assurgendo a dio).






sabato 2 marzo 2013

Alienazione religiosa ed alienazione economica: Feuerbach e Marx


Feuerbach ha spiegato che la religione ha origine dall’uomo, ma non ha spiegato in modo adeguato perché l’uomo crei l’alienazione religiosa. Ciò avviene sostiene Marx perché l'uomo si sente già alienato nella vita terrena, oppresso da un'iniqua situazione sociale. L’alienazione religiosa deriva dalle condizioni concrete in cui l’uomo si trova a vivere, ovvero dall’alienazione economica. Per alienazione economica Marx intende quelle situazioni in cui l’uomo necessariamente impegnato in tutte le epoche storiche a procurarsi i propri mezzi di sussistenza con il lavoro è costretto a lavorare e produrre in modi disumani, che rendono l’uomo stesso alienato, disumano. Lo stato di alienazione caratterizza in particolare la sua condizione nella società industriale capitalistica.
Marx perciò si propone di indagare scientificamente le dinamiche che producono l’alienazione economica e in questa direzione elabora la sua visione della Storia:
  • per capire le dinamiche della Storia, occorre tenere presente che “La prima azione storica dell’uomo è la produzione dei mezzi per il soddisfacimento dei propri bisogni, la produzione stessa della vita materiale.”
    Nel compiere questa azione, mediante il lavoro, l’uomo entra in relazione:
  • con la natura, che lavora e trasforma per ottenere le risorse necessarie alla sua sopravvivenza;
  • con i suoi simili, con i quali si organizza per sfruttare la natura e creare una società ripartita in classi sociali.
    I rapporti tra gli uomini e tra le classi sociali sono chiamati RAPPORTI DI PRODUZIONE; l’insieme delle tecniche produttive di cui l’uomo dispone ad un dato momento storico, sono chiamate FORZE DI PRODUZIONE. La Storia è scandita essenzialmente da questi due elementi, secondo due grandi principi:
  • ad un certo grado di sviluppo delle forze produttive corrisponde un certo tipo di rapporti di produzione es. se la tecnologia è limitata, si ricorre al lavoro umano e si crea l’istituto giuridico della schiavitù);
  • i rapporti di produzione si conservano finché sono funzionali alle forze produttive; quando entrano in conflitto con esse, scompaiono (es. la società industriale tende a liberarsi dei vincoli feudali che non sono più funzionali al proprio sviluppo).
Marx ha una visione dialettica della Storia perché essa viene vista come percorsa dai conflitti tra le classi (la Storia è lotta di classi).
La filosofia di Marx è detta da Engels
materialismo storico perché l’essenza dell’umanità, la storia delle sue attività e lo sviluppo della società, sono determinati dalle condizioni materiali della vita, rovesciando la prospettiva hegeliana secondo la quale la Storia è il divenire dello Spirito. Connessa a questa analisi dell’evoluzione delle società è anche la distinzione marxiana fra struttura e sovrastruttura: la struttura è la struttura economica di una certa società; la sovrastruttura è l’insieme delle idee, delle credenze e delle visioni del mondo che si diffondono in una certa società.Il rapporto tra la struttura e la sovrastruttura è molto complesso, ma in generale si può dire che è la struttura economica che determina la sovrastruttura ideologica. Ad es. una società schiavista tenderà a produrre idee, libri, concezioni che giustifichino la schiavitù. Ed anche questo è un buon esempio del rovesciamento di prospettiva rispetto a Hegel: non è lo Spirito il protagonista della storia, ma la struttura economica e materialismo storico. Un esempio molto chiaro di questo determinismo economico marxiano può essere l’interpretazione dell’abolizione della schiavitù in America a metà dell’800.

lunedì 14 gennaio 2013

Angoscia=Paura


ANGOSCIA E DISPERAZIONE IN KIERKEGAARD.

Angoscia e disperazione sono due caratteristiche della vita dell'uomo, sono molto simili ma per Kierkegaard non sono la stessa cosa:
L'angoscia dipende dal rapporto con il mondo e deriva dal modo in cui l'uomo è diventato uomo. Nell'Eden non aveva niente intorno a sé, il nulla che lo circondava era un nulla dal quale poteva scaturire qualcosa. L'angoscia si ha di fronte al nulla o a qualcosa che non si conosce e che si manifesta con la possibilità. Il possibile è connesso al futuro e l'angoscia è anche per l’avvenire, e anche nella paura che un evento passato possa ripetersi. L'angoscia è legata alla condizione umana: più l'uomo è angosciato e più è uomo. L'angoscia è propria di tutti gli uomini, poiché tipica della condizione umana. Noi ci portiamo dietro l'angoscia dal peccato originale.
Se un uomo non è mai stato angosciato non è un uomo. L'angoscia è propria dell'uomo che si pone davanti alle scelte. Più è profonda l'angoscia, più l'uomo è uomo. L'angoscia ha la capacità di formare. La paura è l'angoscia alla quale non si può sfuggire mai.

La disperazione invece è il rapporto dell'uomo con se stesso.

Se la paura è l’angoscia alla quale non si può sfuggire mai secondo lo psichiatra Andreoli l’uomo che possiede denaro è sempre angosciato: e quindi secondo Kierkegaard è sempre più uomo.

sabato 1 dicembre 2012

Il denaro in testa

Con il denaro acquistiamo merci di diversa natura che rispondono alle nostre necessità, quelle che oggi chiamiamo bisogni. Da quelli primari, essenziali alla sopravvivenza (alimentazione, difesa e continuazione della specie), siamo giunti ai bisogni secondari: dalla sopravvivenza siamo passati alla qualità della vita ; dalla salute al benessere. Sono nati persino i bisogni terziari, indotti e dunque superflui, ma simbolo di appartenenza sociale o in grado di soddisfare il gusto estetico.
Questo rapido excursus, rimanda a una disciplina e a professioni che non sembrano avere a prima vista nulla a che fare con la dimensione di uno psichiatra, interessato alla salute della mente e dei comportamenti dell'uomo. A me pare tuttavia che comincino a emergere elementi capaci di spiegare questa mia fascinazione.
I bisogni condizionano i comportamenti: il possesso di un oggetto visto nella vetrina di una boutique da soddisfazione, gratifica; al contrario, l'impossibilità di acquistare un bene genera frustrazione. Se la gratificazione è la sensazione di ben d'essere che si prova nel possedere un oggetto, la frustrazione suscita invece un senso di mal d'essere, di esclusione rispetto a chi ha acquistato e può consumare l'oggetto desiderato.
In una visione psicologica la gratificazione, di qualsiasi genere, equivale a piacere, mentre la frustrazione a dolore. In un caso soddisfano i desideri e ci si sente protagonisti, nell'altro si avverte la mancanza di ciò che si vorrebbe e si prova dolore, non necessariamente fisico ma certamente esistenziale. Questa sofferenza non proviene da un organo o da una parte del corpo, ma si riferisce a una percezione dell'Io, della persona nella sua complessità, un mal di vivere, e non di un apparato anatomico, della testa o del ventre.
(Vittorino Andreoli - Il denaro in testa)

Ciò si può collegare a Schopenhauer. Infatti secondo Schopenhauer il principio metafisico, ossia la Volontà, è irrazionale e mira unicamente alla conservazione di sé, nella completa indifferenza per il destino dell’uomo. La realtà ci appare ordinata, provvista di senso, solo come rappresentazione, come nostro modo di vederla e di ricostruirla, mentre in sé, come noumeno, è irrazionale, priva di scopi e di senso. L’uomo crede di agire sulla base di motivi e di intenzioni, ma è in realtà uno strumento della Volontà ed è condannato per ciò a essere infelice. La condizione umana, sia a livello individuale che sociale, è caratterizzata dall’infelicità, dalla lacerazione e dal conflitto, dalla mancanza di senso.
La Volontà come principio metafisico si traduce nell’individuo in desiderio. Il desiderio è la motivazione di ogni agire umano, ma esso deriva da una mancanza (se desideriamo qualcosa è perché ne sentiamo il bisogno e non la possediamo), cioè da dolore. L’appagamento non genera felicità, ma nuovi desideri, perché in realtà l’uomo non desidera qualcosa, ma è desiderio, volontà. Ciò sembra provato, secondo Schopenhauer, dal fatto che quando viene temporaneamente meno il desiderio, non subentra uno stato di serenità, ma una condizione di infelicità, caratterizzata dalla noia.

Ogni volere scaturisce da bisogno, ossia da mancanza, ossia da sofferenza. A questa dà fine l’appagamento; tuttavia per un desiderio, che venga appagato, ne rimangono almeno dieci insoddisfatti; inoltre, la brama dura a lungo, le esigenze vanno all’infinito, l’appagamento è breve e misurato con mano avara. Anzi, la stessa soddisfazione finale è solo apparente: il desiderio appagato dà tosto luogo a un desiderio nuovo: quello è un errore riconosciuto, questo un errore non conosciuto ancora. Nessun oggetto del volere, una volta conseguito, può dare appagamento durevole, che più non muti: bensì rassomiglia soltanto all’elemosina, la quale gettata al mendico prolunga oggi la sua vita per continuare domani il suo tormento. Quindi finché la nostra coscienza è riempita dalla nostra volontà; finché siamo abbandonati alla spinta dei desideri, col suo perenne sperare e temere; finché siamo soggetti del volere, non ci è concessa durevole felicità né riposo. Che noi andiamo in caccia o in fuga; che temiamo sventura o ci affatichiamo per la gioia, è in sostanza tutt’uno; la preoccupazione della volontà ognora esigente, sotto qualsivoglia aspetto, empie e agita perennemente la coscienza; e senza pace nessun benessere è mai possibile.

Il mondo come volontà e rappresentazione, Roma-Bari, Laterza, 1979, vol. II, p. 270

mercoledì 28 novembre 2012

Ringrazio Alessia per la disponibilità di prestito del suo nome nell'indirizzo :)